tempi duri per l’Ikea o dell’Arte di seguire le frecce luminose

L’Arte o è plagio o  rivoluzione
(Paul Gauguin)

Qualche giorno fa, navigando col mio portolano difettoso, ho trovato una notizia davvero golosa.
Due ragazzi lituani hanno fatto uno scherzo davvero interessante all’Ikea di Vilnius, anche se definirlo così è riduttivo. Previo sopralluogo con tanto di misurazioni e considerazioni varie legate all’affluenza nei vari giorni della settimana hanno messo in atto il loro piano.

Credo sia abbastanza arcinoto a tutti che il colosso svedese è produttore di quasi tutto, tranne le bare, nonostante Caparezza abbia detto una volta che sua è l’idea di comperarne una all’Ikea (E francamente un po’ di tempo fa girava pure il falso catalogo che offriva diversi modelli ovviamente low cost) e tra gli svariati oggetti che possiamo acquistare a prezzi competitivi ci sono le cornici. Come avrete notato spesso all’interno ci sono delle foto, per dare un idea di come potrebbe essere una volta montata, la vostra foto delle vacanze a Gatteo a mare nel vostro salotto, magari interamente Ikea. Di solito le foto contenute sono davvero brutte e tristi e ai fidanzatini lituani sta cosa non è mai andata giù, era tempo di provvedere e dare al colosso nordico una sonora lezione di stile.

 

Mettile dritte amò, che altrimenti ci sgamano…

 

Bene, i nostri fantastici avventurieri si sono armati di pazienza, taglierino e tanta carta igienica. Hanno prelevato la prima cornice, hanno finto un bisogno e hanno iniziato a fare avanti indietro dalle toilettes del centro commerciale con le cornici per sostituire tutte le foto. Una volta finita la carta igienica si sono resi conto che nessuno li considerava minimamente e quindi, sapete cosa hanno fatto? Hanno continuato a spammare le loro foto davanti agli avventori utonti del centro commerciale, troppo presi dai vari Billy, Malm, Nastrønd, Loki, Hel e compagnia.

Hanno messo foto di loro due in vari contesti, rispettando filologicamente le foto in ogni cornice: avevano controllato, contato e catalogato le foto brutte del negozio per spiegare a Stoccolma che si, saranno pure belli, biondi ed immortali, ma a fare foto sono pessimi. Ovviamente tutta l’operazione è stata poi postata sul loro profilo Instagram, che sempre più spesso diventa veicolo di autopromozione. Non si sa se i due ragazzi siano stati gettati nel pozzo assieme a Fenrir o appesi all’Yggdrasill con Odino, forse sono stati semplicemente invitati a cena a casa del caponegozio che li ha deliziati con salmone affumicato, köttbullar, falukorv, sill, jullskinka, semlor e torta daim, nel tentativo di provocare loro una severa intossicazione alimentare o matförgiftning. 

 

Salottini mondani e salottini sfiziosi, per tutti i gusti, per tutte le tasche…

 

In ogni caso questa idea mi ha preso davvero bene. Chi conosce il Capofficina sa che sono affetta da anarchia compulsiva, maleducazione cronica, svogliatezza, bugiardia severa e tanto altro, ma soprattutto che prometto post che non ho ancora pubblicato (vedi qui). Sta di fatto che mi è partita subito la riflessione. Volevo scrivere un post su Manzoni, un sito che manda cacca ai tuoi nemici e uno su Tiziano e Leonardo e le modalità di fruizione delle loro opere al Louvre ma poi ho pensato: cavolo, ma l’arte moderna è viva e vegeta! Devo dire la mia!! Come se al mondo fregasse davvero qualcosa di ciò che penso, ma siccome miliardi di noi scrivono complusivamente ad altri come loro di cui non ci frega una beneamata fava, allora mi son detta “Perché no? Perché smarrire la ghiotta opportunità di  tacere? E che? Valgo meno degli altri?” Quindi siccome vi siete presi la briga di leggere fin qui, vi accontento.

I centri commerciali sono non luoghi. Posti dove le persone passano, sostano, attraversano un tempo scandito da passaggi obbligati, lasciano scie di un passaggio che dura solo pochi secondi, come tracce feromoniche che non feconderanno mai nulla. Il non luogo antropologico, il non luogo a procedere, il non a prescindere. Quando si decide di entrarvi si aderisce a un contratto ben preciso: lascerai la tua identità individuale fuori da qui il tempo necessario a svolgere il rito previsto e codificato in base a regole precise. Il centro commerciale diviene centro del mondo, cattedrale, isola. Isola è una parola affascinante, non trovate anche voi? Implica un luogo intimo, isolato appunto, dove nulla di male può accadere perché sei fuori dal mondo.

Ed è così. Il centro commerciale isola il mondo, lo neutralizza, rende uno spazio devastato dal caos urbano un posto dove trovare pace, serena consapevolezza, certezze assolute. Sono spazi tutti uguali, con gli stesi odori, colori, catene di negozi dalle vetrine tutte uguali da Palermo a Helsinki, situazioni dove il tempo è sospeso e ogni cosa diventa possibile. Sono gli equivalenti del bosco in montagna, zone franche dove ritrovare un’identità smarrita, quell’identità di creatura urbana, civilizzata che tende a smarrirsi nel traffico, negli anonimati delle metropolitane, (nonostante i tentativi ai tempi del Liberty di renderle luoghi eleganti e raffinati) nelle strade brulicanti di vite tutte uguali, città sempre meno accoglienti che però al contempo hanno i centri commerciali.

Di solito, proprio come i boschi, stanno al limitare del centro abitato, nelle anonime zone industriali, lontani dal centro per non compromettere la riuscita del rito catartico, per distinguersi come cattedrali del deserto civile. Si lascia l’automobile in file ordinate, si prende il carrello, si depositano i figli tra palline di plastica colorate affinché socializzino coi loro pari e si procede col rito.

I due ragazzi di Vilnius hanno, a mio avviso compiuto qualcosa di rivoluzionario, nel piccolo di una rivoluzione casalinga ma potente. Hanno pensato. Hanno operato una scelta ponderata sulle foto da usare, hanno analizzato l’affluenza e come le persone fruiscono del negozio, poi solo dopo aver cercato di capire, hanno agito.

L’opera d’arte può essere il frutto di un impulso improvviso, di una bisogno immediato che deve essere risolto nel volgere di un respiro, ma spesso è il frutto ponderato di strategie lunghe e calibrate, un pensiero che deve maturare, sedimentare, è un prodotto ragionato e pianificato e non per questo meno degno. Pensate ai disegni preparatori delle grandi opere, guardate che non è diverso.

Certamente non possiamo definirli novelli Raffaello, ma certamente l’operazione artistica forse inconsapevole c’è eccome. Spesso accade che l’opera d’arte sia inconsapevole. Sia frutto di un pensiero, un’idea, un momento di felice intuizione. Opera che travalica le sue aspettative, che non è ciò che sembra. Dal primo momento in cui l’essere umano pensa è già in grado di fare arte.

Il centro commerciale quindi diventa qualcosa di altro. E’ un posto in cui ci si smarrisce e il prossimo non è importante, lo dimostra il fatto che nessuno ha dato peso a ciò che i ragazzini facevano, forse perché considerati dipendenti del negozio.

Negli stessi giorni girava anche una fake news davvero simpatica sull’Ikea di Atlanta. Secondo alcuni siti un uomo si è introdotto nel negozio falsificando le frecce guida sul pavimento portando caos e scompiglio. La notizia diceva che ci si è accorti dello scherzo perché nessun cliente arrivava alle casse. In pratica tutti continuavano a girare intorno senza trovare la via d’uscita, tutti si erano ritrovati nella zona tappeti incapaci di trovare la via delle casse.

Trovo la notizia davvero sfiziosa e ben costruita, come il falso articolo sul caso Montesi di Ennio Flaiano. Si dice che le persone sono state fatte evacuare dai pompieri, che molti erano in stato confusionale, incapaci di ricordare il proprio nome, in preda al panico e allo sconforto.

E’ davvero interessante, è un racconto dell’orrore perché possiede un finale moraleggiante, che ci dice di stare attenti a dove andiamo, perché a volte seguire le vie già disegnate è pericoloso, potremmo finire tra le fauci del lupo cattivo. Sono le storie del futuribile distopico che irrompe nel reale, è la concreta possibilità che il negozio diventi la casa in fondo al viale del cimitero, una minaccia concreta, un pericolo da evitare. E’ la dimostrazione che se non si sta attenti si perde davvero sé stessi. Come l’eroe dei canti epici il moderno avventore è vittima di incantesimi dell’oblio, pericolose sibille e tremende streghe mascherate da bellissime giovani.

Il centro commerciale diventa la metafora della vita moderna, quella vita che sembra composta da una monade incapace di pensare autonomamente, il posto che tanti novelli Ulisse lasciano per ritrovare la via di casa, ma il destino avverso del rispetto delle regole ci impedisce di ritrovare. La metafora della post modernità distopica e pericolosa, aliena, spaventosa. Solo sfidando il destino delle frecce luminose disegnate per noi da altri potremo navigare a vista verso la libertà.

 

Categorie: Al peggio non c'è mai fine, Arte, Arte del Crimine, Attualità Vintage, Uncategorized

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