Dietro la maschera c’è solo la felicità. Dissertazione sulla bellezza o presunta tale

Non mi piace la bellezza di serie – non c’è bellezza senza qualche stranezza.
(Karl Lagerfeld)

 

Bellezza a profusione. Cazzeggiando davanti alla tele di questi tempi natalizi è inevitabile non imbattersi in quelle reclame strappalacrime dedicate a tutte le malattie che durante l’anno non interessano a nessuno, o almeno così ti dicono; anche a me capita spesso (di vedere questi spot, non di pensare alle malattie). Non entrerò nel merito di questo tipo di scellerato televisionarismo, vi ho promesso su Facebook tempo fa che avremmo parlato anche della pubblicità, ma oggi non ne ho voglia: ho mangiato troppo bollito col panettone e mi sono rimasti sullo stomaco. Mi ha colpito tantissimo una reclame in particolare, che a dire il vero vedo da tempo, quindi suppongo che il bambino in questione sia ormai grandicello (soprattutto, anche se non ci si crede, anche io ho un cuore) e che stia meglio. Non vi dico il nome del bimbo, ma è un’associazione molto importante che si occupa di persone con disabilità (apparentemente) notevoli.

Prendo spunto quindi per una riflessione doverosa in questa fine anno. Un anno particolare, che ha visto una vera e propria rivoluzione industriale qui in Officina, un anno in cui ho aderito a molti scioperi, ho fatto troppi ROL e mi sono presa troppi giorni di vacanza e malattia. Un anno di fatiche immani. Che però non hanno minimamente intaccato l’anarchismo politicamente scorretto che mi contraddistingue.

Oggi voglio parlare di Bellezza e Felicità.

Mi sono detta, vedendo il piccolo dello spot sorridere beato: la felicità è in ciò che conosciamo e non in quello che non abbiamo mai posseduto.

La bellezza salva il mondo, deterge tutti i dolori, pulisce gli occhi ma soprattutto: la bellezza è dentro o fuori?

Nel 1985 Peter Bogdanovich dirige uno dei film più poetici che io abbia mai visto. Una storia vera. La storia di un ragazzino californiano morto nel 1978 a causa di una malattia dal nome improponibile: displasia cranio-diafiseale, patologia che colpisce un bambino su 220 milioni (per saperne di più, qui).

Si tratta della biografia romanzata ma fedele della vita di Roy Lee Dennis.
Mask (Dietro la maschera in italiano) è un raro esempio di poesia. Rocky ha la leontiasi, un male incurabile e doloroso che inevitabilmente lo condurrà a morire troppo presto.
E’ il ragazzino allegro qui sopra.

Bogdanovich è in stato di grazia, Cher, che interpreta Florence Dennis, la madre, fu candidata all’Oscar ed Eric Stolz, l’interprete principale è pressoché irriconoscibile.

Ecco che arrivo al punto.

Non rientra nei canoni di bellezza ottimali per essere definito “passabile”. Il suo viso fa pensare a quello della Bestia della favola, giusto? Ha le proporzioni sbagliate, quindi non può essere definito “bello”. Non assomiglia a Montgomery Clift, vero? (Su Monty Clift la parentesi quadra è doverosa. Non l’ho messo qui a casaccio, ma tanto lo sapevate già. Nel 1956 rimase pressoché sfigurato, era alcolista e faticava a nascondere la sua omosessualità. Robert Lewis definì la morte di Monty come “il più lungio suicidio della storia di Hollywood”) Ecco miei cari, ecco che arrivo e  dico che vi state sbagliando.
Rocky a suo modo è bellissimo. In primo luogo perché ha un volto tutto suo. E’ un ragazzino allegro e pieno di amici, amici veri. E’ un ottimo studente contro tutte le previsioni, è molto intelligente e scrive poesie. Chi sa scrivere poesie non può essere brutto.
La bellezza è non solo negli occhi del guardante. Devi averla nel cuore per accorgerti dove si trova.
Trova addirittura una ragazza, che lo ama per quello che è e non per quello che dovrebbe sembrare.

 

L’amor che move il sole e l’altre stelle…

 

Soprattutto, tornando al quesito di prima: cosa avranno da ridere dei bambini con malattie tanto gravi?
Tutto. Certo che sono felici. Lo sono perché sono vivi, hanno amici, dei genitori e dei fratelli premurosi. Sono felici perché possono esserlo. Loro percepiscono il mondo e quindi lo conoscono attraverso ciò che apprendono di e da esso, perché dovrebbero sentirsi sfortunati? non puoi rammaricarti per qualcosa che non conosci.

Rocky Dennis era un ragazzo normale. Nella sua accezione di normalità. Andava a scuola e faceva volontariato coi ragazzi ciechi, certo perché loro non lo avrebbero giudicato, ma ciò non toglie che avrebbe potuto crogiolarsi nella sua sfortuna invece non lo fece mai. Riusciva addirittura a prendersi in giro con gli altri: è classe, classe sublime.

Male che colpisce un bambino ogni 220 milioni.
Ecco perché nella sua sfortuna, sfortuna ovviamente per noi “normali”, che abbiamo la quantità giusta di calcio nelle ossa e lo stesso quindi non ci deturpa la faccia, è fortunato.
E’ un ragazzo speciale, Rocky. Ne nascono pochissimi come lui.

Sapete, vi farò una confidenza molto, molto intima.

Io Rocky lo capisco benissimo. Anche io sono nata con una patologia rarissima, talmente stramba che ogni dottore che mi ha visitato ha soltanto saputo dire: non so cosa sia.
Se sei un rompicoglioni ti piangi addosso e ti fai compatire. Se sei come noi, Freak dentro o/e fuori invece ti senti speciale, unico. Ho imparato nel tempo a sentirmi unica e speciale. Io quindi capisco i ragazzi come lui, come il piccoletto che non vede e non sente, ma Vive, vive a discapito di quello che noi possiamo anche solo pensare. La vita la percepiamo in base alle nostre esperienze, alle nostre conoscenze acquisite ed innate, e se non sapiamo gioire di quello che abbiamo la colpa è soltanto nostra.

Qui non troviamo il mondo oscuro dei Side Show, non ci sono regole della devianza da rispettare: stiamo parlando di tutto quello che è nel mondo “dalla parte giusta”, non c’è la quarta parete, il pubblico pagante e le pannocchie al burro. Siamo davanti al concetto Bellezza/Bruttezza/Paura/Repulsione che tutti, si miei cari, proprio tutti noi proviamo quando pensiamo a persone che non vivono come noi.

E poi mi chiedo: cosa vuol dire? Cosa significa “vivere come noi”.
Cazzo gente, io adoro i film Horror, andare in luoghi abbandonati, mangiare carne cruda, i vampiri, faccio bollire le ossa per spolparle e collezionarle, leggo le biografie dei serial killer prima di dormire. Vi sembra normale? Certo che no. Eppure questa è la mia routine. Ho molti amici di cui alcuni davvero ottimi, la mia famiglia mia ama, i vicini di casa mi considerano una brava persona, scrivo poesie, a volte.

Tante volte in quest’officina ci siamo interrogati sulle dicotomie Bello/Brutto, Buono/Cattivo, ogni volta scopriamo qualcosa di nuovo, ma non posso esimermi dal continuare questa ricerca.

Rocky trova anche l’amore. Vabbé, la ragazza è cieca, ma non le impedisce di vedere con le mani. Provate anche voi a farlo. E’ un’esperienza esaltante, perché sono certa che lei lo percepisce nel profondo, è cieca dalla nascita e quindi ha sempre visto con le mani e le orecchie. E’ un concetto astratto per quasi tutti noi, ma provateci. Lei quindi non lo vede con gli occhi: ne percepisce la portata, completamente, ne sente ogni spigolo, perturbazione, avvallamento. Sente quel viso deturpato dal male. Perché Rocky soffriva da morire. La leontiasi è un male incurabile e mortale. Che ti uccide con lentezza e dolore.

La vita e la morte a volte si assottigliano, si legano assieme, si contorcono in una danza mortale e vitale al contempo, ci fanno sentire vivi e morti, speciali e banali, amati e odiati. Sentire. Non con le orecchie. Sentire, percepire cosa ci circonda, senza filtri, remore, paure o schemi mentali precostituiti.

Ci sono certe biografie dal peso specifico pari a quello dell’osmio. Vite talmente sublimi ed impareggiabili da non crederci. Situazioni talmente tante che non ci si crede. Roy Lee Dennis pesava come osmio bagnato nel piombo e nell’adamantio.

Nonostante questo lui è andato avanti, senza paura né della morte né del dolore. Ha proseguito il viaggio ridendo come se non ci fosse un domani, ha amato senza riserve, si è fatto amare. Ha capito la cosa più importante di tutte: che ne abbiamo una e una sola, e se la sprechiamo allora non solo siamo fottuti noi, ma se la giochiamo bene fottiamo pure il sistema…

Categorie: Arte, Attualità Vintage, Biografie, Cinema, Cinematografo, Personaggi, Spettacolo

2 commenti

  • Annamaria Benassi

    Bellissimo film, mi ha emozionata moltissimo. Ho amato quel ragazzo, è vero, nel corso del film non ti accorgi più del suo aspetto inizialmente spaventoso. La sua anima prevale. Ho pianto quando fa “percepire” i colori alla ragazza, che cieca dalla nascita, non può averne memoria.

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