17 Ragazze (quasi bambine)
Se aspettassimo il tempo giusto per fare le cose non faremmo mai nulla. (Camille)
Oggi è il giorno del fertily day. Vi giuro gente che non l’ho fatto di proposito, ma questo era il giorno “programmato” (e visto l’argomento, calza come un preservativo rotto…) per la pubblicazione di questo post. Non poteva cadere più a “fagiolo” (altro sinonimo di fertily…), ma la vita è strana, è colma di serena – dipità, di eventi fortuiti, di confusione, ritardi e momenti che nessuno ha programmato. Esattamente come le gravidanze. Avere figli è una questione personale, intima, sono scelte che toccano le nostre vite, quando poi hai l’età del Capofficina molti si chiedono perché in Officina non ci siano piccole pesti urlanti, o meglio, ormai adulti consenzienti pronti a farti diventare un nonno felice e soddisfatto. La vita è una condizione particolare, infelice, strana, piena di contraddizioni e momenti topici; la vita adulta è una continua battaglia, una feroce battaglia tra te e il resto del mondo (ormai riprodotto alla faccia tua).
Ma andiamo con ordine.
Ad essere franchi il titolo di questo film mi ha fuorviato; essendo un film francese ho subito pensato che si trattasse di un drammone sull’immigrazione e il fenomeno dei kamikaze e quindi non l’ho mai considerato (non amo molto il genere). Quando poi invece ho capito di cosa si trattava la curiosità ha prevalso e ho guardato questo piccolo gioiello con meraviglia e passione.
Basato su una storia vera. Finalmente possiamo usare questa formula. Perché anche se sembra una storia fantastica uscita dalla penna di qualche femminista sbarellata, questa storia è accaduta veramente. Nel Massachussets: più precisamente nell’antica e prestigiosa cittadina peschiera di Glouchester nel 2008, in un liceo locale con 1800 studenti dove un gruppo di ragazzine adolescenti ha pensato bene di movimentare un po’ la sonnacchiosa routine scolastica e cittadina con un evento che se non fosse vero sarebbe da ridere. Decidono di “rimanere incinte” e alla fine la conta si ferma (per fortuna!) a 17.
La “decana” nel film è Camille, ribelle e bella diciassettenne stanca della sua famiglia azzoppata; dove il padre non esiste, la madre è troppo presa dal lavoro per mantenere la baracca e il fratello è costretto dalle circostanze ad arruolarsi per l’Afganistan.
Camille prende coscienza della sua condizione (umana, troppo umana) e decide di non abortire, perché vede in questa gravidanza un modo ingegnoso per smarcasi dal mondo degli adulti, quel mondo che una delle sue amiche definisce, con l’ironia disincantata dell’adolescenza ai tempi di internet: mondodimerda.com. Quel mondo cattivo, freddo, povero di affetti. Dove nessuno le ama davvero. Con speranzosa ingenuità (infantile) crede che questo bambino l’amerà incondizionatamente, senza esitazioni: solo lui sarà il mezzo per ottenere quell’amore tanto cercato e mai corrisposto. Con il (dis)incanto degli adolescenti, dove ogni cosa è totale, senza possibilità di ritorno, Camille non pensa a come lei stessa in fondo tratta sua madre, non ragiona sul fatto che lei sta scappando proprio da quel mondo in cui senza ragione apparente si sta infilando lei stessa. Vuole andar via da un mondo dove sua madre non la capisce (chissà poi perché i genitori non stati adolescenti a loro volta…) per entrare un mondo di responsabilità e totale impegno.
E’ un film che a tratti è disturbante, di quel disturbo curioso (e morboso) che è un’adolescente incinta, una creatura che a te, ormai adulto, sembra una curiosità scientifica da libro di anatomia e non una Persona in grado di compiere delle scelte sulla base di un ragionamento solido e compiuto. Quando persino gli adulti nel mondodimerda.com fanno cazzate a ripetizione. Un gruppo di giovani amiche anarchiche, anche loro alla fine saranno proprio 17, ragazzine impertinenti che sognano una comune dove vivere tutte assieme coi loro bimbi; amate senza se e senza ma, amate per quello che Sono e non per ciò che dovrebbero rappresentare. Un’idea forse un po’ hollywoodiana dell’amore filiale, prova di come loro stesse vivano in contesti problematici da cui scappare.
La vicenda, già tragica di per se, è piena di tanti piccoli episodi di dolore autoinflitto e casuale, di momenti ancora leggeri inframezzati dal rifiuto del paesino costiero della Bretagna. Un’invasione di coccinelle che vanno a morire al mare e i vecchi che dicono di averle così viste tutte. Anche se ancora non hanno visto tutto. La vita riserva sempre delle sorprese.
Il film inizia con una corsa: le studentesse del liceo corrono, ancora inconsapevoli del loro destino, durante l’ora di ginnastica; una corsa che ha il sapore del dovere, del divertimento, della fuga volontaria. La corsa sembra essere la cifra stilistica di questa storia; correre lontano da tutto, correre via da responsabilità insormontabili e “correre” troppo veloci verso una inconsapevole età adulta per essere finalmente libere, anche se non si sa bene da cosa.
La decisione di rimanere incinte con ogni mezzo e poi la presa di coscienza al fatto compiuto: le giovani sono sempre sole nelle loro stanze a pensare, come modelle dei dipinti alienanti di Degas, sole e silenziose ballerine stanche e lontane da un mondo assordante che le vorrebbe brave figlie e non (in)consapevoli madri. Madri in camerette solitarie e infantili, rosa e piene di pupazzi che non sono per i nascituri ma per loro, da parte di genitori che a loro volta le hanno aspettate.
Paradossalmente 17 Ragazze è la storia di un gruppo di giovani donne che si riappropriano del loro corpo. E’ la presa di coscienza dl potere tutto femminile della riproduzione, del consapevole desiderio di rivalsa sul mondo. Come le femministe degli anni ’70 che al grido tremate tremate le streghe son tornate mettevano i maschi in riga. Affascinante (e un po’ perturbante) notare che la cittadina di Glouchester venne colpita da una profonda crisi economica col crollo della pesca in quel 2008, è vicina a Salem, in quel New England teatro di roghi e processi di stregoneria. Allo stesso modo anche la cittadina costiera della Bretagna del film è colpita dalla crisi; come se i momenti di depressione siano portatori di una nuova speranza per consentire alle comunità di tornare a credere nel futuro. L’utero è mio e me lo gestisco io era il motto (anarco insurrezionalista) delle femministe dei mitici anni ’70 che sembrano all’opposto di queste ragazzine, ma a ben guardare non è così.
Fanno la stessa cosa: si riprendono la loro femminilità e lo fanno nell’unico modo conosciuto; gestendo la maternità. Che sia la mancanza di maternità o la ricerca ossessiva della stessa poco importa. Decidono di riprendere la loro integrità attraverso la riproduzione. E come le femministe atee, zitelle e senza figli anche lor sfidano l’autorità (maschile) decidendo di avere una gravidanza in età adolescenziale, fuori dal matrimonio e senza rivelare chi sia il padre.
Il padre non conta, contano loro che sono le Madri, le Donatrici di Vita; il maschio è solo un donatore di speramtozoi, in un’ idea tutta rinascimentale di donna creatrice e maschio attore marginale . Ci si riappropria così del proprio corpo, della femminilità, dell’essere Donna e si diventa una specie di femminista (solo apparentemente) al contrario. E’ una rivendicazione di libertà e felicità, di una vita che si vuole vivere a modo proprio. Al di là delle convenzioni imposte da un mondo ipocrita; se la donna senza figli è una sorta di malata la ragazza madre è una vera e propria lettera scarlatta, un tabù, uno stigma. Sono donne senza marito, che non accettano imposizioni.
Non vediamo se non di sfuggita solo alcuni dei “padri”, che più che altro accettano passivamente un ruolo assegnato loro dalla femminilità, attori di seconda fila, rasseganti al loro destino. Sono giovani a volte costretti come se fosse un gioco estivo.
La tragedia però è dietro l’angolo, come diceva Eddie Merckx. Florence, la strana del gruppo, si rivela una bugiarda patologica che ha solo finto di essere incinta per poter far parte di un gruppo e viene allontana in malo modo, come si fa con chi è diverso. Clementine, la più piccolina del gruppo, non solo fatica a farsi mettere incinta, (creando situazioni esilaranti) ma è sempre a rischio di morire. Anche se la vera tragedia (e la vera beffa) è nella vita di Camille: la decana delle madri, che a causa di un banale incidente automobilistico perde il bambino ormai all’ottavo mese.
Lei che ha combattuto, cercato supporto, gioito e costruito un mondo nuovo per le sue compagne sarà poi quella che non vedrà negli occhi il suo bambino mai nato. Se ne andrà via, lontana da quel gruppo di cui lei, consapevolmente, sa di non poter fare più parte. Si allontanerà come fanno i vecchi capi branco una volta consapevoli della loro fine.
La ragazzine poi faranno come le coccinelle, e dopo tutto alla fine “non si vedranno più”. Non vivranno concretamente il loro sogno anarchico di una comune senza adulti, rimarranno nel mondodimerda degli adulti e cercheranno la loro strada in quel mondo, con una consapevolezza diversa.
La vita cambia, prende strane strade, la vita e la morte. La maternità qui diventa il grido di rivalsa di un gruppo di (giovani, troppo giovani) donne che decidono come vivere, come amare, come essere amate; maternità anarchica che fa il paio con la mancanza di maternità. Anarchia e punkeggiante desiderio di rivalsa; perché le donne sanno (e sapranno sempre) come divertirsi.
Perché quando poi guardi negli occhi quello che per mesi hai solo immaginato ti rendi conto che i pannolini e le pappine costano care e che la cacca dei neonati non odora esattamente di Chanel numero 5…
Consiglio musicale. Direttamente dalla O.S.T. Ascoltatela mentre leggete, così potrete entrare in Officina assieme a noi!
Categorie: Cinema, Cinematografo
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