Pruriti

Bentornati amici vicini e lontani al consueto appuntamento settimanale con i “Racconti del Capofficina”! Questa volta da “Sasso Marconi” ci spostiamo nella prima periferia di “bologna”. Non importa quale, in fondo sono tutte uguali. Almeno quelle in cui accadono le cose di questa storia. Racconto del 2010 scritto dopo una passeggiatina igienica sotto i portici di Bologna, che mi hanno ispirato. Racconto incluso nella solita raccolta inedita “Quotidiano d’ombra”, chi lo sa, magari un giorno torneranno ad abitare tutti assieme. Per ora leggetelo da qui. Adesso me ne vado in Officina, vi auguro buona passeggiata. Ah, state attenti alle cacche dei cani nelle aiuole, mi raccomando!

Buona lettura!

 

Le città sono tele di ragno quando le guardi sulle cartine. Sembrano posti vuoti e desolati costellati solo dai nomi delle strade e delle piazze: non ci sono le case, i negozi, i ristoranti, le scuole, le palestre e i cinema.
Invece sono luoghi densi, dove trova posto quasi ogni cosa possa venire in mente: villette, casine, campi da basket, vecchie costruzioni industriali, viali alberati, vicoli bui, condomini.
I condomini si trovano in tutte le città. Condominio significa comunione nella proprietà, avere un bene condiviso con altri, vivere in un luogo con spazi in comune. Dove gli spazi comuni a volte sono quelli dentro Il cuore, nel cuore nascosto di un mondo segreto e regolato da doveri non scritti che ognuno deve rispettare, luoghi comuni di desolate ore senza motivo e senza speranza.
Il condominio può diventare un piccolo mondo, antico e moderno, uno spazio ristretto dove le vite e le azioni umane assumono valore universale, unico, dove tutto è per forza di cose, condiviso.
Se si guarda sulla carta stradale Bologna è come una tela di ragno e, come dice Eco, nemmeno un bambino può perdersi li dentro; anche se a volte si perde se stessi in quella tela, si smarrisce il senso di quello che si cerca, si perde il sonno e la veglia, ci si smarrisce di proposito per non essere più ritrovati e dimenticare di esistere, per non pensare, per non morire mai, per vivere dentro a questa tela sottile che avvolge chi vi si smarrisce volutamente e lo protegge da tutto quel mondo che sta la fuori. A vederla dall’alto pare davvero una tela di ragno, la Casa dei Sogni, hai come la sensazione che se la guardi troppo intensamente si possa dissolvere e corrompersi nella polvere.

Anche a Bologna ci sono i condomini ed anche qua diventano a volte microcosmi dove tutto può succedere. Sono case pulite e ordinate dove le cose non cambiano mai, anche se chi li abita a volte lo vorrebbe con tutto il cuore. Quando le cose cambiano per davvero la rabbia e la delusione prendono il sopravvento su tutto il resto.
Può succedere che l’euforia e l’adrenalina del momento rendano tutti felici e un po’ su di giri, ma alla fine l’euforia finisce, la paura dell’ignoto prende il sopravvento e il desiderio di tornare come prima freme negli stomaci ormai sazi degli abitudinari commensali del ristorante in Condivisione.
Una cosa è certa: lo sport prediletto qua non è il calcio, ma il cicaleccio.
Le lunghe ore d’inerzia risvegliano il desiderio di conoscenza, il bisogno quasi fisico di sapere cosa accade dietro alle finestre altrui. Non è cattiveria, maligna goduria del mors tua, ma un semplice desiderio di condivisione, abitudinaria sensazione di comune destino.

Voglia di sapere e capire se le proprie esistenze sono uguali a tutte le altre perché nulla è più pericoloso di questo: essere Diversi dal proprio vicino. Essere considerato strano ed eccentrico, avere il Marchio della Bestia, non essere in linea con quello che gli altri si aspettano che è il motore che muove questo piccolo spicchio di comune esistenza.
Chi ti sta attorno si aspetta determinate cose.
Hai il diritto di vivere come vuoi, ma l’obbligo di fare quello che tutti si aspettano da te.
Ognuno ha una strada che corre incontro al destino e se si abbandona si tradisce il gruppo e questo non è positivo, perché fa irrompere nel Mondo tutto quello che non vorremmo e ci fa paura: una sensazione di cambiamento.
Non è che cambiare sia nocivo, davvero, ma a volte è pericoloso; può distruggere tutto quello che a fatica ci si è costruito con sudore e passione.
Passione: un sentimento che se guardate bene potete vedere anche nella carta stradale di Bologna. E’ il motore che muove l’inerzia di tutti questi condomini dove le persone bruciano etti di sangue con gioia e piacere.
Non è un caso che del maiale non si butti via nulla e che sia l’animale contadino per eccellenza: anche il sangue conta e qui vale di più.
Via della Normalità in fondo passa anche da qui. La necessità di vivere tranquilli dopo anni di fatiche, la voglia di continuare a bruciare nonostante tutto.
Questi microcosmi sono posti che contengono una parte di magia e una di sostanza, concretezza, tutto succede e a volte non succede; semplicemente qui le cose esistono, punto e basta.
Nella prima periferia di Bologna in una bella zona tranquilla, più campagna ormai che metropoli ci sono una fila di condomini alti ed eleganti, case di classe, con le facciate chiare e pulite senza fronzoli e con pianerottoli armoniosi dalle ringhiere zincate, scalinate in marmo grigio chiaro e  davanzali comuni ricolmi di ciclamini, gerani e veli di sposa. Sono bei condomini tranquilli i cui inquilini vogliono vivere bene e in santa pace portando a spasso il cane, chiacchierando e andando al circolo il venerdì sera, briscola e canasta, ricamo e champions league, shopping al sabato pomeriggio e auto nuova nel garage.

Non sono palazzi troppo alti e da tutti i punti di osservazione si vede San Luca. Proprio come quando dalla tangenziale ne vedi il contorno di ritorno da un lungo viaggio: sai di essere finalmente a casa, stanco e voglioso di riposare.
San Luca, Guardia della città e Protettore dei suoi cittadini che lo guardano per dire: ecco, ci siamo, siamo a casa.
Perché la casa è il rifugio del cuore stanco e malandato, il posto dove si ricarica di energia la vita, dove si vive e si ama, dove le difese possono riposare, dove tutto è dolce e profumato. E dove le cose devono andare bene. La casa è il monumento alla serenità, la gentilezza che si posa mattone su mattone, luogo dell’anima che cerca di illuminare ogni cosa.
ABCD: quattro microcosmi, spaccati di universo che s’incontrano nel comune destino delle rate dell’immondizia. Quattro spaccati di vite che rincorrono una gioia veloce a passare, lenta da raggiungere.
Quelle piccole gioie che è meglio definire serenità, elementi di continuità di vite che trovano nell’apparenza la vera essenza di tutto perché San Luca da lassù fa luce a queste esistenze a volte dolenti a volte meravigliose, ma molto spesso annoiate e deluse che rincorrono qualcosa; senza nemmeno sapere cosa.
E poi, questi mondi perfetti non dimentichiamolo, sono chiusi in loro stessi a causa degli appetiti sessuali e di tutti quei pruriti proibiti, perversi e non: in questi luoghi la sessualità assume un ruolo di pacificatore, di terremoto, di momento sospeso, pausa di godimento, brusio maligno che alla fine si risolve nel talamo e non importa se non è sempre il tuo; la sessualità è quella benzina a ottani alti che brucia e consuma i sogni di normalità e devianza che ogni abitante prova a vivere.
Le ringhiere zincate e le scale di marmo grigio chiaro sono i testimoni silenziosi: se potessero amplificare tutto quello che le trombe delle scale hanno catturato il silenzio esploderebbe in migliaia di suoni fastidiosi e molesti.
Sono le lusinghe di tutti quei capricci, di tutti quei segreti, di tutti quei desideri inespressi che trovano lo sfogo nelle camere da letto degli altri, in luoghi impropri e solo apparentemente segreti.
Sono posti tutti uguali: camere troppo strette per contenere sogni e desideri di chi abita e cerca di sopravvivere senza un vero desiderio, solo una lunga teoria di buone intenzioni e malevoli pensieri.
E’ in questa prima periferia bolognese, tranquilla, più campagna ormai che metropoli che le vite della gente s’intersecano e per attimi lunghissimi sembrano compenetrarsi, come i bambolotti matrioska al contrario, anche solo per un momento prima di ritornare nel buio; ma almeno queste vite, almeno per un attimo, appaiono illuminate e sincere, come se potessero decollare davvero e brillare per sempre.
Dove le case hanno facciate che nascondono i loro abitanti, che li proteggono da quello che viene da fuori e fa paura perché diverso da loro. Dove i muri lindi frenano lo sporco che può insozzare le anime di chi cerca di andare avanti e dove le paure diventano una sola: la paura del diverso, del cambiamento, dell’evolversi troppo veloce di ogni momento che può diventare tragedia.

 

Aldo Fantini è l’amministratore dei condomini A,B,C,D: uomo gentile e conciliante, buono e pacifico nonostante la possente mole di un peso massimo in forma anche a cinquant’anni, gentile come solo un pugile che ha solcato tanti ring può essere, perché la vera forza non si misura con i muscoli, ma è dentro l’anima di chi la possiede e Aldo ne possiede tanta, che cerca di reprimere per non combinare casini.
Ogni mattina si alza alle cinque e trenta e corre per diciotto chilometri, poi salta la corda per trenta minuti e alle otto è già in ufficio per lavorare e organizzare i “suoi” condomini e renderli sempre più perfetti ed efficienti. Ogni cosa deve essere perfetta per funzionare al meglio e rendere felici e fieri gli abitanti.
In fondo il suo lavoro non è difficile: si tratta solo di aiutare e conciliare.
La moglie Pina ne è orgogliosa, si sente importante come solo una casalinga disperata di periferia abbastanza ricca e annoiata riesce a sentirsi; è un po’ la “Signora del Castello”, padrona del parlottio e dell’interesse morboso, annoiata e a volte delusa ma lieta di stare dentro le mura della sua normalità tanto devastante eppure fondamentale alla sopravvivenza.
Aldo e Pina stanno assieme da trentacinque anni, sempre vicini l’uno all’altra nella buona e nella cattiva sorte. Stanno assieme da quando sono bambini e si amano, o almeno l’hanno fatto per tanto tempo; l’hanno difeso e condiviso con tutti perché nel condominio le facciate sono importanti e devono sempre essere linde e perfette, la vernice non deve sbavare perché fa semplicemente schifo. Nulla deve turbare la loro vita così ordinaria eppure felice, serena nel lento scorrere di ogni mese un giorno dopo l’altro senza soluzione di continuità. Tutto va bene tra loro perché sono marito e moglie, sono una bella coppia e questo basta e deve bastare perché Pina è fortunata: ha un uomo buono e gentile che la rispetta e le vuol bene, ha un marito che le permette di avere una Classe A ultimo modello in garage e di andare dall’estetista una volta la settimana. Un uomo che le compra bei vestiti e le permette di avere la donna per stirare e riordinare l’attico all’ultimo piano del condominio A.
Pina è una casalinga. Disperata. Sola.
Ma questo Aldo non deve e non vuole saperlo. Perché lui è un bravo marito e quindi trova pazzesco che una donna così fortunata abbia pure delle lamentele da muovergli. Non le fa mancare nulla quindi tutto deve funzionare.
Ogni cosa nelle loro vite ha il sapore della conquista e del successo: Aldo è stato quattro volte campione mondiale dei pesi massimi, oro e argento olimpico in due edizioni distinte; ha fatto tanti soldi ed ha cercato di non sperperarli, li ha fatti fruttare con l’acquisto di alcune case e di una palestra dove coltivare il talento dei ragazzi e  toglierli dalla strada, proprio come fece Sandrino Ceccarelli  con lui, quando era un “cinnazzino” mezzo delinquente sempre in mezzo alle risse tra via Santo Stefano e Strada Maggiore.
Sandrino lo aveva capito subito che con un sinistro di quel livello aveva davanti a se il nuovo Bruno Arcari fatto e finito e che doveva salvarlo da galera certa.
Aldo era una testa calda che esplodeva come una pentola a pressione impazzita e Sandrino non voleva assolutamente che quel “cinno” finisse male; vedeva in fondo a quei suoi occhi grandi la luce della gentilezza che è il valore più prezioso del pugilatore, quel lampo che ti consente di vincere la fatica e l’avversario in modo onesto e vero, che trasforma la bestia che hai dentro in un meraviglioso drago di fuoco che combatte gli avversari con le loro stesse armi, senza cattiveria, ma con dedizione e disciplina.
Pina l’aveva conosciuta un pomeriggio di trentasei anni prima davanti alla “Pizzeria Altero”: quella bella ragazzina con le trecce e i capelli biondi lo aveva colpito come un jab alla mascella, non era caduto a terra solo perché era appoggiato al muro; con la goffaggine del quindicenne un po’ arrapato era riuscito a parlarle, addirittura l’aveva fatta ridere, anche se a farla ridere era la mole del giovanotto che cercava di essere elegante come un elefante in una cristalleria, la cosa la divertiva. A dire il vero la solleticava e la rendeva felice, si sentiva come mai prima di allora, sentiva come se avesse delle farfalle appena uscite dal bozzolo dentro lo stomaco, proprio come le raccontava la sua amica Marisa che giusto due mesi prima si era fidanzata con Andrea Frabboni, il più bel ragazzo di tutto il quartiere Barca.
Pina era lusingata che quel ragazzone la corteggiasse. Nel giro di poco erano fidanzati in casa.
Ne combinarono di tutti i colori per stare assieme: lui doveva partire per Milano e Pina sarebbe rimasta sola a Bologna. Il suocero di Aldo, che non voleva vedere i due ragazzi sposati troppo presto, la accompagnava spesso a trovare il giovane fidanzato perché sentiva che dovevano stare assieme, voleva bene a quell’enorme ragazzo tanto gentile e voleva davvero aiutarli in ogni modo.
Era povero Aldo, non aveva quasi nulla, ma a Pina non importava, avevano l’amore e questo bastava.
Poi le cose iniziarono a girare e a farlo a mille allora. Gli incontri, i titoli dei pesi massimi, le olimpiadi, gli sponsor e tanti soldi che giravano finalmente in casa. Gli amici alla fine degli anni settanta iniziarono a chiamarlo Balboa perché la loro storia era davvero simile e la cosa lo faceva sorridere: magari avesse avuto la stessa fama di Stallone! Lo aveva pure incontrato quando girava “Rocky 3” e ancora oggi ha le foto nella sua palestra, dove i due omaccioni ridono di gusto assieme con i tre Oscar di Sly e le cinture di Aldo, uno dei suoi collaboratori dice sempre che sembrano due vu cumprà di lusso e Aldo a volte  lo pensa davvero.
Si sente un uomo fortunato, Aldo, e amministrare dei condomini lo fa sentire ancora più importante, utile alla sua comunità che confida in quel grosso signore ancora affascinante che redime e districa le dispute e tiene sotto controllo le tasse del rusco, l’erba da tagliare, le aiuole con i fiori, le cacche dei cani e le facciate pulite e perfette.

 

Sorli è l’inquilino del 2B. Un gran pettegolo. Ama da impazzire zizzania e maldicenza, la sua lingua è arrotata più di quella di una comare in amore, non riesce a tacere su nulla e se gli tagliassero la lingua imparerebbe a parlare con il retto.
È un omino di sessant’anni in odore di omosessualità; ha un barboncino toy antipatico quanto un esercito di rappresentanti della Avon che abbaia a qualsiasi cosa e a cui dedica tutte le attenzioni del padre geloso. Il minuscolo essere è viziato quanto un’educanda inglese di ottima famiglia e fa i bisognini, piccoli, ma pestilenziali come bombe mostarda, in ogni dove.
Aldo ha prurito alle mani. Non gli succede da quando ha undici anni e pestò quel ciccione di Bergamini della prima A che lo prendeva in giro a causa dei pantaloni troppo corti e con le toppe sul sedere.
Dovettero dividerli con le secchiate di acqua gelida: Aldo si era rotto il naso e Bergamini aveva due costole rotte e la tibia slogata. Gli prudevano le nocche come prima di un incontro valido per il titolo mondiale; quel maledetto del Sorli si stava intromettendo negli affari suoi, nel suo menage familiare, nei suoi affetti più profondi e questo Aldo proprio non lo digerisce.
Non riesce nemmeno più a tollerare quel nano del suo cane da compagnia, quel povero esserino che ha la sfortuna di vivere con una maledetta checca isterica e pettegola più delle comari di Windsor. Trova insopportabile il continuo verseggiare delle due mostruosità che attentano alla santità morale del condominio.
Aldo mal sopporta gli omosessuali, questo in particolare perché non tiene la bocca chiusa. Sorli mette in giro delle strane voci e l’amministratore è stanco morto perché quello che accade tra le mura di casa Fantini riguarda solo i Signori Fantini.
Vorrebbe fare qualcosa, ma sa che è molto pericoloso, troppo pericoloso.
Sorli ha solo la parlantina in fondo, non ha mai fatto male a nessuno o almeno questo Aldo ha pensato fino al mese scorso, quando Berti, del 4A non gli ha fatto presente che il suddetto mette in giro strani rumori sulla Pina. E Berti è uno fidato, uno che parla a segno e non per sentito dire.
Sorli chiacchiera con tutti i condomini e sparla a ruota libera.
Berti l’ha sentito mentre parlava con la Betti del 2C, con Ladinetti del 1A e con Santoni del 3C. Berti aveva sentito dire che la Pina Fantini si era iscritta in palestra, che in casa porta solo tutone informi dismesse dal marito e che ad Aldo non si concedeva più. Che il venerdì sera la canasta al “Circolo Fondazza” finisce oltre le quattro e mezza e che si ballano anche i bolero.
Che la Pina si trucca molto più del solito e che la domenica pomeriggio va a passeggio con quelle amiche più giovani che ha conosciuto su internet, che l’ha sentita lui, il Sorli, dire delle cose strane sul suo matrimonio.
Aldo è stanco morto perché ogni giorno ne impara una nuova e non ne può più di sentire tutte quelle brutture sulla Pina. Lui la ama così tanto. Non crede che la pochezza della carne possa corrompere un amore così grande come il loro. Ogni cosa per la loro famiglia è una sfida e sa che solo la morte può separarli, solo la fine di tutto può dividere le loro anime gemelle.

 

Quella mattina, come sempre, Aldo si è alzato alle cinque e mezza ed è andato a correre. L’aria frizzante stava lentamente facendo posto alla primavera, quella vera che viveva quando era bambino e la cosa lo stava facendo impazzire di gioia.
Uscendo dall’androne alza lo sguardo verso il B, così in automatico e vede la cosa più antipatica che può succedere all’amministratore: un abuso.
Aldo sta fumando come un toro Galliardo nell’arena un attimo prima della corrida, Sorli l’ha fatta grossa come le due Torri questa volta: ha montato la parabola in terrazzo senza passare dalla riunione condominiale.
Aldo non accetta queste prevaricazioni, non accetta di essere preso in giro dal primo patacca che incontra sulla sua strada, no, non ci riesce proprio. Nessuno ha fatto una cosa così senza il permesso dell’assemblea, quel grigio piatto deturpatore di facciate di condomini perfetti non dovrebbe stare lì, punto e basta eppure sta lì e svetta come uno stendardo di battaglia rubato al nemico. Nessuno si è mai permesso e Aldo lo prende come l’ennesimo insulto personale da parte di quella checca isterica e senza fondo.
Corre via per non pensare, per non impazzire, per non vedere o sentire quello che il suo povero cuore malato d’amore sta urlando. Sta gridando che non è colpa di Sorli se la Pina non lo ama più.
Il cuore è un muscolo saggio, ma molto spesso si ha paura ad ascoltarlo, perché si sa che ha ragione. Se non lo sente più come il suo uomo, quello forte che la protegge dal male, la colpa non è di quel poveretto.
Sorli non c’entra col tempo che passa e che scorre veloce sulla povera Pina che si sente vecchia e decrepita, vuoto simulacro di donna, antica e non più fresca come un tempo. Pina si è iscritta in palestra per rassodarsi e non si è iscritta dal marito, ma alla Virgin Active con le nuove amiche conosciute su Facebook e Twitter, quelle ragazze che Aldo conosce appena e che la stanno portando via da lui. Perché la Pina si sente vecchia e brutta e vuole provare a se stessa prima di tutto che è ancora una splendida donna; non ha più le trecce ma è ancora la bimba innamorata della vita.
Aldo si è accorto che il venerdì sera va al circolo profumata come quando erano fidanzati e che a casa porta solo le sue vecchie e logore tute, sa bene che sono mesi che non fanno l’amore e sa anche che sua moglie non è in menopausa, la scusa per la mancanza di desiderio. Sa bene che le ha ancora perché ha trovato gli assorbenti usati, ha trovato delle lavande e dello spermicida, Aldo non è stupido, ha solo deciso di diventare cieco per non soffrire troppo.
Ha pensato tante volte di ucciderla nel sonno: di soffocarla o ucciderla a pugni, ma sa che la prigione sarebbe troppo poco, che senza il suo piccolo grande amore non è nulla, che la sofferenza sarebbe troppa.
Sta correndo come un matto, senza tregua, senza fiato. Non vuole sentire il rumore dei pensieri e dei ricordi, l’odore della sua donna sul cuscino, quel profumo così familiare, ma al tempo stesso tanto lontano da tutto quello che sono stati in tutto quel tempo.
Sa bene che quello che forse farà tra meno di mezz’ora è sbagliato, ma è l’unica cosa che sa e che conosce.
Deve per forza tornare a essere il ragazzino violento e pericoloso delle stradine bolognesi dei tardi anni sessanta, deve sentire di nuovo l’odore del sangue, la viscida consistenza dei pugni sudati e pieni di umori del suo avversario, deve per forza fare quello che sente ruggire dentro, non riesce più a tenere tutto al suo posto. Ha bisogno di lasciare uscire la tigre, deve sgranchirsi le zampe possenti e ha bisogno di ruggire, di farlo dal fondo della gola e spaventare il mondo intero.
Sta ancora facendo streching quando fa ritorno ai lindi e perfetti giardini dei “suoi condomini”: ed eccolo lì il destino, sta facendo cacare il cane dentro le aiuole preferite della professoressa Naldi.
Sentiva il prurito alle nocche diventare sempre più forte e denso, con una consistenza melmosa di qualcosa che cade al suolo con uno schianto fragoroso e senza fine, un rumore così forte in grado di svegliare i morti, un rumore di cose fragili che si rompono spaccandosi in mille coriandoli, il suono della follia inarrestabile che vuole ad ogni costo la sanità mentale e fisica di Aldo.
Sorli sta arrivando cordiale verso il destino inesorabile a lui riservato, ma ancora non lo sa.
-Ciao Aldo, tutto bene? –
Aldo glia sta andando incontro con la flemma tipica della sua persona e con il passo claudicante e Sorli sta sorridendo come se tutto fosse normale, come se da li a pochi secondi i suoi connotati potessero rimanere al loro posto per magia.
Uno schiaffone rumoroso, uno schiocco di frusta ha appena colpito il faccione rubizzo dell’inquilino del 2B che con infinita sorpresa e una sottile paura strisciante guarda la faccia ormai stravolta dell’amministratore, il viso deformato che un tempo è appartenuto ad Aldo lo fissa con rabbia stupida e cattiva, lo schiaffo che ancora brucia nella mano del vecchio pugile.
– Aldo, ben di so, ti scoppia la balla per caso??!![1]
– La devi piantare di dire tutte quelle brutte cose sulla Pina capito?-
– Cornuto sarai poi te, maledetta checca isterica!-
– Ma come ti per ….-
Sorli non può finire la frase perché la rabbia di Aldo è esplosa in mille schegge di alabastro e vetro fuso. Ha abbassato la testa e sta colpendo con metodica ferocia la faccia ormai pallida come un cencio del poveretto. Sta colpendo come se davanti a lui ci fosse un drago feroce e cattivo in procinto di ucciderlo, i colpi stanno volando veloci e potenti come il volo delle aquile sulle vette di montagna. L’ha preso e sollevato alla sua altezza che è notevole: Aldo è un metro e novantadue contro i centocinquantotto centimetri del povero Sorli, Aldo lo ha sollevato per poter picchiare un uomo come piace a lui: guardandolo diritto negli occhi, non come i vigliacchi che lo fanno senza nemmeno voltarsi.
Sta colpendo quel faccione come farebbe con il sacco in palestra, senza tregua né pace, con crudele e affamata sete di vendetta cieca e sorda. Lo sta massacrando con quelle mani nude e pericolose che cercavano di affermarsi negli stretti vicoli del centro città tanti anni prima, sta uccidendo la parte buona che ancora porta a spasso per il mondo e lo sta facendo con tutta la cattiveria che lo circonda come un cancro in fase terminale.
La faccia e il busto di Sorli sono la mappa topografica della cattiveria non più gratuita del pugile in pensione, sta picchiando come se fosse l’ultimo giorno della sua esistenza, lo sta picchiando con tutte le forze che ha in corpo, Aldo non sta colpendo un uomo, ma tutta la sofferenza che vive nel suo cuore e che si sta nutrendo del suo sangue da troppi mesi.
L’ha sollevato da terra e lo sta facendo ballare. Un ballo forsennato. Non capisce e non sente nulla Aldo. Non pensa al domani o al futuro, gli schizzi di sangue imbrattano la maglietta bianca dell’ex pugile e il manto inconsapevole di quel povero esserino nano che vive col Sorli, il cane sta abbaiando disperatamente come un bambino in pericolo di vita e cerca con tutti i mezzi di fuggire per avere salva al vita. Sta picchiando un uomo indifeso senza avergli dato delle spiegazioni, sta semplicemente sfogando tutto il desiderio e la follia omicida che da troppo tempo lo consuma.

Pina si è svegliata a causa delle grida forsennate del povero Milù, il canide affetto da nanismo e si affaccia curiosa alla finestra della sua camera da letto per vedere che cosa il sabato mattina del villaggio gli riserva. Ma non è quello che si aspetta. Il sorriso furbo lascia il posto a un ghigno di muto orrore. È suo marito il mostruoso e feroce Portatore di Disordine.
Il sole fa capolino dai tetti delle case e illumina tutta quella furia cieca sposata tanti anni prima.
Pina è sconvolta, non ha parole e non riesce a muovere un muscolo per andare al telefono e chiamare il 113 e il 118. Sa che deve subito fare qualcosa, ma non ce la fa. E’ come se volesse vedere il suo uomo nella fine estrema. Come se ogni sua fibra stesse urlando di lasciarlo al suo destino di mostro assassino.
Sono almeno sei mesi che il Sorli mormora sulle corna di Aldo, sul fatto che non passa dalle porte, che la moglie balla il valzer al venerdì, ma non col marito, che la canasta dura troppe ore e che il giovanotto in questione può tranquillamente essere suo figlio.
Quel figlio mai avuto, mai arrivato, desiderato ma forse con troppa poca convinzione e questo a Pina non dava problemi. Il desiderio lo aveva Aldo. L’idea di diventare padre, di avere qualcuno cui insegnare tutti  i trucchi della battaglia, qualcuno da amare ancora di più perché parte di entrambi, un bambino che avrebbe potuto rendere le persone Uomo e Donna, ma così non è stato.
Non sono arrivati e non certo per colpa di Pina. Troppe botte e troppi antidolorifici hanno reso Aldo sterile come terra morta. Forse con dei figli Pina non avrebbe cercato la fuori la felicità, forse.
Anche se Aldo sa bene che non è così, che non sarebbe cambiato niente e anzi avrebbe avuto una scusa in più per scappare via.
Pina è corsa via per tornare ragazza, per sentirsi di nuovo viva e desiderata da qualcuno che ancora non sa cosa sia la noia e la desolazione dell’abitudine matrimoniale. E’ scappata via per sentire nuove emozioni, per bruciare di febbri devastanti, per sentire che ha ancora un cuore in mezzo al petto e che il suo corpo non è solo un contenitore per gli umori del marito.
Esatto. Pina vuole sapere cosa sia quello che gli raccontano tutte le amiche, scappa via per provare se anche il suo corpo è vivo e sa vibrare sotto al piacere segreto di ore lascive, deve capire se non sia davvero incapace di provare qualcosa tra le pieghe del cuore. Ha voglia di fare del sesso vero e non solo di essere una specie di svuota tasche: ecco come il marito la fa sentire, come un portavivande, non donna ma inutile vassoio.
Nel frattempo mentre la moglie rimane paralizzata alla finestra con un grido muto nella gola arriva il postino sgommando con la panda sul viale di asfalto e nella luce del mattino vede rossi fiotti di sangue zampillante dal povero uomo gentile che riceve sempre i cataloghi di fiori della Dekker e che ha quel piccolo cane buffo. Con una prontezza incredibile prende il telefono dalla tasca e chiama il 118 mentre cerca senza successo di dividere i due uomini.

Pina si sveglia veramente solo quando il rombo della sirena dell’ambulanza arriva a riempire quel sabato mattina di marzo, un sabato come tanti, quando ha ancora addosso l’odore di Federico perché non vuole lavarsi e disperdere il senso selvatico che il giovane amante gli trasmette, deve tenere stretto a se l’odore del sesso, quello vero che per la prima volta in vita sua la fa sentire davvero donna, davvero viva.
Il fantasma di Aldo era davanti a lei, un Aldo giovane e bello, innamorato e gentile, ma non selvaggio come Federico, quello del 4D sempre abbronzato e palestrato con gli occhiali Ray Ban a specchio e i vestiti griffati perfettamente abbinati ogni momento della giornata.
Quello scapolo senza figli e con una diversa ogni settimana. Pina lo sa, ma non le importa e poi anche a lui va bene così, non le chiede di lasciare la sicurezza per la giovinezza, le va bene essere una tra le tante e lui lo apprezza molto.
Tutto la sotto era come su un altro piano di coscienza, come se fossero due mondi distinti, alieni tra loro. La stanza profumata dell’amore proibito e il marciapiede della vergogna dove il simulacro del marito combatteva come un ballerino ubriaco: i piani diversi di una stessa tragedia così personale eppure tanto universale, integrata nel tessuto del condominio lindo e preciso da diventare parte di tutti, archetipo di una dolente umanità che partecipa al gioco perverso dei sentimenti andati a male, tutti quei dolorosi momenti dove il cuore si frammenta in mille pezzi e brucia.
Pina ha capito una cosa fondamentale per la sua sopravvivenza: deve mantenere la sua dignità, anche se il marito ha permesso alla follia di penetrare tra loro, in fondo lei non ha colpa, non è vero, lei non c’entra con queste cose e suo marito non stava difendendo la sua dignità.
Lei non fa nulla di male, il male le è estraneo, lontano, non è parte di lei.
Pensa che nel primo pomeriggio deve andare dall’estetista e dal parrucchiere e che alle diciannove dovrà essere in centro per fare l’aperitivo con le amiche e poi tutte a cena.
Deve essere perfetta, tutto attorno lei deve esserlo. Ha una sua vita tutta nuova e non le importa se quel vecchio dinosauro sposato trentadue anni prima non sta al passo.
Ha capito che è una donna ed ha il diritto di vivere quello che prova nel profondo. Il resto non le importa più. Aldo ha chiuso le porte della percezione ora, è seduto in ambulanza col Sorli gonfio come un krapfen alla crema e lo sguardo perso nel vuoto.
Sua moglie lo raggiungerà al pronto soccorso del Maggiore o almeno così crede. Perché ora sa.
Adesso Aldo sa che la vita e la morte sono la stessa cosa.

Si è reso conto che i suoi pugni sono ancora letali, ma soprattutto ha ricordato che gli esterni luccicanti dei condomini a volte vengono deturpati da oggetti molesti ed estranei che possono anche distruggere per sempre  tutto quello che nel tempo si è costruito.
Il sabato di sole e speranze è appena iniziato e le dolenti vite dei condomini hanno appena aperto gli occhi ancora pieni di un sonno che verrà spazzato via dallo sgomento e dalla consapevolezza  che le cose non sono più come devono essere. Che le facciate dei loro palazzi si sono sporcate col sangue innocente. Che le tele di ragno a volte sono condannate alla distruzione.
Che le cartine viste dall’alto ricordano la tana del lupo. E il lupo ha ancora molta fame.

 

[1] Espressione bolognese che significa “sei impazzito?”, tipica della lingua parlata.

Non piangere, piccola mia, non farlo mai. Perché non ti ho mentito mai… Mentre leggete potreste ascoltare questa vecchia canzone dei mai dimenticati Guns’n’Roses, vi pare?

Categorie: Racconti, Scrittoio

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