Sono finito in un cerchio di fuoco: oh, ti prego, Signore, perdonami!

Questo articolo contiene parolacce, volgarità, sesso, droga e tanta musica. Se ne sconsiglia l’uso a chi non sa gettare il cuore oltre l’ostacolo.

 

A volte, troppo spesso direi,  nel maledetto mondo dei musicisti, anzi, delle Rockstar, fa capolino “la Bestia”.
E’ una creatura diabolica, mostruosa e feroce che con ogni mezzo cerca di impossessarsi del malcapitato di turno; di solito un povero cristo con la sfortuna di avere un fottutissimo talento in ambito musicale. Questa grossa stronza puzza un bel po’ ed è molto rumorosa, al limite del fastidio fisico e quando è nella stessa stanza col poveraccio di turno la noti per forza, è automatico.
La bestia è una gran bastarda e non sempre la si può fermare in tempo. Nel caso di Jhonny Cash la bestia ha perso.
Ci ha provato un’infinità di volte a mangiarselo, ma Jhonny aveva qualcosa, o forse qualcuno, che lo ha protetto. Da se stesso. Dal mondo crudele. Dalle droghe e dall’alcol. Dagli amori proibiti.

Chiamatela incoerenza o Diverso Destino, ma all’inizio J.R. tesse le lodi del Signore in vinile, ma quelle dei demoni peggiori tra bettole, donnacce e viaggi a Juarez nella vita quotidiana. La bestia alberga in lui, e ci sta divinamente. Non lo molla nemmeno un secondo, si trastulla con questo povero cristo, che sembra non riuscire a fermarla, anzi, a sua volta la invita spesso a ballare un valzer mortale. Più sale verso l’Olimpo dei musicisti e più inizia ad essere strafatto di anfetamine e alcol e pillole per dormire. Non gli bastano mai, non ne ha mai abbastanza e i fantasmi di natali passati lo inseguono inesorabilmente, senza tregua.

 

cash_3

Signore e signori, a me gli occhi! Mi vedete bene? La vedete bene, la Bestia?

 

Toccherà il fondo più volte. Una delle prime volte forse fu il 2 ottobre 1965. Dopo un concerto a Dallas prende un volo per El Paso e da lì raggiunge Juarez, in Messico. Deve incontrare un “amico” e al ritorno verrà beccato dalla dogana con più di 1000 pasticche tra Dexedrine ed Equanil dentro la sua Martin; l'”amico”in questione è un noto pusher e sai che gli frega? Pur di salvarsi il culo metterebbe nella merda anche il presidente Jhonson  in persona. Spiffera il nome del famosissimo musicista e J.R. si fa una bella notte al fresco nelle patrie galere texane. Non è la prima volta che viene arrestato: per ubriachezza molesta, danni e per aver causato un incendio di 200 ettari di terreno. Conosce bene il confine oscuro della linea, lui ci prova a non oltrepassarlo, ma il vento  tira forte e il povero J.R. fatica a starsene in piedi.

l’inizio della svolta, anche se lui ancora non lo sa, arriva nel 1961, quando si scontra, fisicamente, al Gran Ole Opry con la bellissima (e cattolicissima) June Carter: lui la guarda e le dice che un giorno si sposeranno. Lei gli dice che non vede l’ora. Peccato che lei avesse un marito meccanico e lui una moglie italo americana ad aspettarli a casa.
Non che J.R. si formalizzasse; quando una donna gli piaceva, da brava superstar, se la prendeva, compresa la conturbante e sensuale Billie Jean moglie del suo amico Jhonny Horton, anch’essa cantante. E le prendeva sempre, se ne aveva voglia. La moglie Vivian se ne rimaneva a casa: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Anche se di certo lei sapeva; le donne lo sanno sempre, anche se fanno finta di essere ingenue. Lei non ne voleva sapere di quel mondo, non gli piaceva, ma era comunque il mondo di suo marito, quello dove lui sguazzava strafatto e sfrontato sui plachi di tutta l’America. Stava diventando il cantore degli ultimi, dei disadattati, degli operai, dei poveri e degli sbandati; romanziere in musica, musicista poeta, cantastorie di prim’ordine.

J.R. cammina sulla linea, che a volte è la linea gialla che i detenuti devono seguire in prigione; sarà proprio in prigione, che paradossalmente J.R. verrà consacrato a stella di prima grandezza. Prima nel penitenziario di Folsom tiene un concerto torrenziale per i detenuti: è il 1968 e registra At Folsom Prison, un disco incandescente, dove si sentono gli strepiti e le grida dei 3500 detenuti tra i più pericolosi d’America. E’ un successo: piace ai benpensanti, che possono vedere in faccia il carcere per procura, piace ai detenuti che sentono J.R. come uno di loro, entra nella storia come primo disco registrato in prigione. (i Metallica faranno altrettanto nel 2003, a San Quentin: ma senza Jhonny forse non lo avrebbero fatto) E’ uno dei live che preferisco in assoluto nella storia della musica; perché è vibrante di vita vissuta, di musica sentita nel profondo da chi suona e da chi ascolta, un omaggio al lato oscuro dell’animo umano, un dialogo tra pari a cui noi siamo ammessi, ma senza fare troppo casino, perché i secondini potrebbero anche manganellarci. Poi, solo nel 1969, qualche mese dopo, registra un altro capolavoro nella prigione di San Quentin, nella baia di San Francisco, una delle carceri più pericolose e dure degli Stati Uniti e lo fa sempre e solo per chi “non vede l’alba da troppo tempo”. Sono nuovamente canzoni tra uomini solitari ed oscuri, fratelli nella legge, per parafrasare un famoso libro, canzoni per cuori solitari. J.R. sa bene che la linea oscura è sempre dietro di lui, e se il vento tirasse un po’più violentemente finirebbe per sempre nell’abisso. Jhonny Cash Live at San Quentin è un disco rivoluzionario, un trionfo che nessuno dimentica.

Ma alla fine è il cerchio di fuoco ad attrarre J.R.: quel cerchio di fuoco in cui June Carter l’ha precipitato.
Un cerchio caldo come la passione proibita che li lega inesorabilmente l’uno all’altra. Un amore tanto forte da sopravvivere a tutto quel fuoco per diventare eterno, vero, senza compromessi.

Tutte le grandi storie d’amore sono di solito clandestine e non sempre sopravvivono quando diventano normali e regolari. Il loro legame invece potrebbe essere studiato come esempio lampante di eccezione che conferma la regola.

 

love

One love, one blood, one life…

 

Erano entrambi musicisti passionali, sposati con persone da cui non potevano più avere nulla, entrambi (a modo loro)  molto religiosi  e al tempo stesso così diversi da chiedersi come sia possibile che il loro amore sia sopravvissuto. Era forse l’innata pazienza di June, capace di aspettare e capire quando e come fare col suo Jhonny. Cadute e risalite, fino al tentato suicidio e “l’incontro con Dio” nella caverna di Nickajack. Quella dove era andato per morire; e a modo suo J.R. li muore e nasce (o rinasce, dipende dai punti di vista) Cash. L’uomo che crede nella redenzione divina e  sente Dio accanto a lui perché la redenzione è a portata di mano. Adesso può farcela. Nel 1968 le chiede di diventare sua moglie e lo fa come solo una superstar può fare: mentre sono in Canada. Lui interrompe un duetto con lei e le chiede la mano. Lei accetta, Cosa avrebbe potuto fare di fronte a tutte quelle persone? Rifiutare?

Il loro amore di fuoco, per cui lei nel 1963 scrive Ring of fire è salvo. Sono finiti nella lava della passione carnale e spirituale; il loro amore resiste perché è principalmente un incontro di anime gemelle. Affinità elettive, quelle che ti capitano (non sempre cari miei….) una solo volta nella vita. Quelle cose, quelle sensazioni che ti consumano il corpo passando attraverso il cuore, lo spirito, le viscere.

 

 

Le trombe mariachi sono una aggiunta di Jhonny, che se le vede in sogno. Con tutto quello zolfo le cose sarebbero dovute precipitare, invece è solo l’inizio.

Sono paradossalmente simili a Cosima Liszt e Richard Wagner; anime diverse eppure tanto simili capaci di vivere anche una volta terminata l’adrenalina della clandestinità. Lui le dedica, la notte di Natale (compleanno di Cosima) L’idillio di Sigfrido; Cosima è non solo la figlia del grande Franz, ma anche a sua volta una pianista, una musicista affine per spirito al grandissimo marito che si ritrova. (vietata la paternale: lo so, che l’Idillio e Ring sono due cose diverse, lo so….) Noi uomini lo sappiamo che a volte senza le nostre donne non sapremmo starnutire controvento mettendoci le mutande dal verso giusto, e di certo queste due donne erano di una grandezza non misurabile. L’Amore è una cosa strana, ma che a volte (una sola per vita, ricordate?) ti puo’ anche capitare, se sei fortunato. La differenza sostanziale pero’, fu la fine di queste storie d’amore. Fu l’inesorabile e travolgente fine di tutto. Cosima sopravvisse quarant’anni dopo Richard. J.R. invece, solo pochi mesi.
Fu June, la prima a staccare il biglietto di sola andata per il Paradiso. Lui era vecchio e malandato, tutto quell’alcol e le anfetamine ne avevano minato il corpo. No signori miei, la verità è un’altra, e adesso che abbiamo fatto i compiti a casa lo sappiamo: il cuore di Jhonny non ha retto il colpo.
Non poteva reggere perché se da una parte la sua fragilità lo aveva reso grande e uomo, al tempo stesso la consapevolezza di quella cazzo di Bestia lo rendeva vulnerabile. Le sue debolezze  non le nasconde mai. Ecco perché non poteva reggere: perché sapeva di essere alla mercé dei mostri. E June ne era la guardiana.

Qualche tempo prima aveva registrato American IV: The Man Comes Around, quarto album in studio con il leggendario Rick Rubin, dove il produttore decide di fargli cantare quella che a mio modesto (e metalmeccanico) avviso è la più emozionante, commovente, coinvolgente canzone di Cash di sempre: Hurt, cover del brano dei Nine Inch Nails, gruppo industrial Metal decisamente agli antipodi dal Man in Balck. Ascoltarla è un’esperienza eguagliabile solo dai suoi concerti in carcere. E’  intensa da far male, senti tutto il dolore per qualcosa che ha perduto, che hai perduto tu come ascoltatore: l’amore, la giovinezza, la sicurezza. Hai la sensazione che sentisse e sapesse che la fine di tutto era dietro la porta del salotto buono di Rubin ad aspettarli, aspettarli entrambi, perché senza la “sua principessa” lui era un uomo morto, nella caverna di Nickajack.

Ho imparato ad amare e rispettare Jhonny Cash da adulto. Quindi è un amore maturo, per così dire, nato proprio grazie a questo album. Una passione sincera che mi ha portato su strade dimenticate (dopo che Elvis aveva lasciato il palazzo) e che mi ha permesso di conoscere un uomo che  esattamente come me ha dei demoni, delle bestie e delle debolezze che non nasconde, anzi; che rende pubbliche perché vengano neutralizzate. La sua è una storia esemplare d’amore, di redenzione e di speranza. La storia di uno dei più grandi Story Teller americani di sempre, di un musicista semplice e al tempo stesso complesso che ha saputo rinnovarsi senza vendersi, cambiare senza vergognarsi, dire e fare sempre quello che lui, e non gli altri, riteneva giusto. Cash è il Man in Black, il cantore di tutti gli sconfitti, i solitari, i disadattati, i pazzi, gli alcolizzati e i tossici. Cash è soprattutto, lo dico senza timore di venire smentito, un grandissimo Musicista…. perché Jhonny, ha sempre ragione, cazzo!!

 

 

 

Categorie: Biografie, Cantanti, Grammofono, Musicisti, Personaggi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.