Quella volta che Dylan Dog ci salvò dai mostri e altre storie terrificanti

Le storie horror migliori che mi siano mai state raccontate sono giunte per caso, solitamente di notte, nel vecchio retropalco di un piccolo teatro della periferia bolognese, con l’unica fonte luminosa rappresentata dalla luna e da una flebile lampadina rossa, appesa al muro come il cadavere di un impiccato. Sotto quel pendaglio da forca ci raccontavamo di fantasmi nelle grotte, di demoni a spasso per le strade, uncini appesi a portiere d’auto, bambine demoniache murate vive in case fatiscenti, dischi maledetti, creature senza nome, compiti per le vacanze non ancora terminati tre giorni prima dell’inizio dell’anno scolastico.

Poi però tornavamo a casa, e io, bulimico del mostruoso, non pago di tante schifezze mi sedevo al buio (e dove, altrimenti?!) e ricominciavo la  scorpacciata privata di brivido. Non ce n’era per nessuno, in quei momenti. Iniziavo a leggere e non mi fermavo fino all’ultima pagina, piuttosto pisciavo in una bottiglietta, ma dovevo finire.

Questa è prima di tutto una storia della nostalgia. Un viaggio dentro qualcosa che ha cambiato forma, direzione, luogo e tempo. Più che un viaggio, un pellegrinaggio dentro cose che per me sono state tanto importanti.

Ci sono cose che vengono da lontano. Argomenti per cui i nostri cuori fremono sempre con passione e coinvolgimento, anche se il tempo trascorso è molto e le cose nel frattempo sono cambiate.

Si diventa prima grandi, poi vecchi. I capelli diventano bianchi, le rughe intorno agli occhi fanno capolino. Eppure certe cose ancora ci fanno divertire, emozionare, stare bene. Cose per cui il tempo si trova sempre, anche quando non c’è. Anche quando siamo adulti da tempo e le nostre priorità sono mutate. Cose che fanno parte della nostra crescita; momenti che hanno reso più leggere e sopportabili le nostre esistenze, che ci hanno insegnato qualcosa che non sapevamo prima. Sono letture, apparentemente senza futuro alcuno, ma che a volte entrano a far parte delle nostre vite e dei nostri processi di crescita. Letture leggere, fatte di carta destinata al macero che a volte diventa preziosa come la pelle delle nostre adolescenze. In fondo l’adolescenza non è altro che il più terrificante evento che accade all’uomo, ma che per una mistica ragione a me ignota tende a ricordare, una volta superato, come il momento più figo di tutta la vita. Ecco, in fondo l’adolescenza è carta da macero che si trasforma in pergamena preziosa una volta svolta la sua funzione fisiologica.

Questa storia parla di storie: racconti immaginari corredati di immagini che a volte nella testa puoi anche modificare a tuo piacimento, perché in un certo senso ne diventi il proprietario, diventano le tue storie.
Sto parlando di albi. Non  di albi qualsiasi. Parlo di quel fumetto da cui hanno tratto due film, di cui uno girato a Hollywood (parliamone…). Il fumetto italiano che nella nostra Officina detiene il posto più importante di tutti: Dylan Dog. L’investigatore dell’incubo che vive nel posto del Possibile.
Quel posto dove ogni cosa è plausibile, certa, sicura.  Un posto che si trova a Londra, al 7 di Craven Road. Se suonate il campanello questo urlerà e verrà ad aprirvi Groucho Marx in persona e vi stordirà con barzellette improponibili e giochi di parole da capogiro, ma il suo capo vi troverà venendovi a salvare.
La casa dell’indagatore è uno dei posti più assurdi e bizzarri che un appassionato di horror e occulto possa anche solo sognare; la casa in cui io, da ragazzetto, sognavo di vivere e magari di portarci le ragazze… esattamente come fa lui.
Ex investigatore di Scotland Yard, ex alcolista astemio, che, come gli ricorda Groucho, a volte dimentica di astemiarsi, vegetariano convinto, playboy solitario e a volte ultimo uomo sulla faccia della terra a crederci ancora. Indossa sempre la giacca, perché il cappotto gli rovinerebbe il look, e non usa ombrello, perché quando c’è il sole è inutile averlo. Chi ha avuto come me quattordici anni nei primi anni ’90 si ricorda e sa di cosa parlo; se poi come me eravate un quattrocchi topo di biblioteca metallaro (Capofficina per sempre!) di certo sapete esattamente cosa mi succedeva. Forse succedeva anche a voi. Dylan Dog era quello che indagava per noi, cercava di dirci che forse i mostri non erano i cattivi, che i mostri che albergavano in noi erano lì per un motivo: per cercare di salvarci. I mostri a volte sono proiezioni del subconscio, altre vengono da oltre le stelle visibili, ma la maggior parte delle volte dormono sonni senza sogni dentro i nostri cuori, e aspettano.

 

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Ci sono storie che più che altro sono sensazioni. Vite parallele alla nostra. Frammenti distaccati di un passato remoto…

 

Il mostro, in Dylan Dog, è spesso l’avvertimento, svolge il compito di mettere in guardia su qualcosa che è successo o che dovrà accadere; è il portatore del caos difforme, ma al tempo stesso è la rappresentazione dell’io più profondo dei personaggi. Appare per dire che non tutto è perduto, che non si può giudicare solo con uno sguardo, perché spesso gli occhi sono ingannatori.
Dylan segue il suo istinto, anzi il suo “quinto senso e mezzo”, si lascia andare e ovviamente non sbaglia, non può perché quando il cuore ti parla non sbaglia mai. Segue il cuore e i sogni, che diventano cartine stradali per ritrovare il filo del discorso, che a volte si perde, o si nasconde alla vista.
Tutta la sua vita ha un ché di enigmatico; un mistero che ci viene svelato un pezzettino per volta, con discreta rassegnazione, come se davvero Nietzsche avesse visto giusto quando parla dell’abisso.
E’ terrorizzato dai pipistrelli, (non sapete quanto lo capisco!!), ama gli animali, odia la violenza, ma ha comunque la pistola, anche se non l’ha mai  quando serve, ma per fortuna Groucho si, e da fedele maggiordomo è sempre al suo fianco. Groucho non è solo un maggiordomo; è un amico, una sorta di fratello strambo senza il quale la vita sarebbe più vuota. Poi c’è il suo ex superiore, l’ispettore Bloch, che ha smesso di credere in qualcosa nel 1946 e senza l’antiemetico non affronta le cruente scene del crimine londinese. Bloch oltre che un amico è il suo mentore, la voce della ragione, un padre adottivo che lo segue nel difficile percorso messo in piedi dal destino per il suo “old boy”, come lo chiama lui, un destino che lo mette contro il (presunto) vero padre, Xabaras, che è l’antagonista assoluto di Dylan, in un perverso gioco di complessi edipici impliciti e non detti: Morgana, il grande amore di tutta una vita, che però è in verità sua madre, appare e scompare assieme al padre/nemico, in una specie di eterna lotta genitori/figli, buoni/cattivi.

Dylan Dog diventa anche remake angosciante di vecchi film e serie televisive; da I Confini della realtà, a I Segreti di Twin Peaks, passando attraverso pellicole di culto come Che fine ha fatto Baby Jane?, FreaksIl Settimo sigillo. Lo stesso è dichiaratamente il sosia dell’attore britannico Rupert Everett; il cinema con le sue ombre diventa sogni di carta da sfogliare, a ripetizione, trovando ogni volta qualcosa che la volta precedente ti era sfuggito, o forse dimenticato, perché la memoria trattiene solo quello che il cuore riesce a capire.

 

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Dylan e Bloch: amici, fratelli, uniti

 

Ha tante donne, Dylan, tante quante gli albi usciti. Donne bellissime che spesso gli danno sonori due di picche e poi magari gli cadono ai piedi; chissà, forse Groucho ha ragione quando dice che gli fa lo sgambetto. Sono però storie senza storia, donne che passano nella sua vita come fantasmi, come gli incubi che rincorre anche per loro. Clienti scettiche o credulone, sbiellate o timorose, giovani o meno, ma sempre parte della vicenda anche loro malgrado. Dylan cerca l’amore in ogni donna, cerca la sua donna, quella Morgana/Madre che ha perduto; cerca qualcosa che forse non troverà mai: se stesso negli occhi di un altro essere umano.

Dylan Dog siamo noi in fondo: indagatori di quell’incubo meraviglioso che è la vita. Cercatori di verità in mezzo alle bugie, stelle luminose che luccicano nel buio delle vite altrui.

Vedete, nonostante sia ormai un attempato Capofficina, ancora oggi ogni tanto apro la scatola dove conservo gelosamente i miei vecchi albi: alcuni sono ridotti male, perché sono stati divorati più volte, altri invece hanno retto meglio la prova del tempo, ma non ha molta importanza. Quel che conta è che quando mi sento solo, ho mal di pancia per le troppe incombenze della vita, litigo con la fidanzata e mi getta i vestiti in strada lui è lì. Basta solo aprire la prima pagina e suonare il campanello. Un urlo mi annuncia e Groucho mi stende.

Non credo che smetterò tanto presto di leggere quelle vecchie pagine polverose, no. Soprattutto da quando in Officina ho appeso sopra la porta una lampadina rossa penzolante, come la lingua di un impiccato…

Dylan ascolta così tanta musica che ci vorrebbero pagine e pagine per mettere in fila la N.O.S.T.(non official sound track) del nostro investigatore. Non ho un motivo preciso, ma questa canzone mi fa pensare a “Terrore dall’infinito”, il mitico numero 61, tutto qui….

 

 

 

 

Categorie: Biografie, Fumetti, Personaggi, Saggistica

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