Elvis has left the building

ELVIS HAS LEFT THE BUILDING

Lo comunicò il padre Vernon ai giornalisti, che Elvis aveva lasciato il palazzo.
Il Re è morto sul trono. E dove doveva morire, se non lì? Magari sul palco di qualche Hotel di Las Vegas? Non sarebbe stato decoroso.

Il Re è morto, lunga vita al Re.
La vita di Elvis Presley è stata breve, ma in fondo lunghissima, quasi infinita; non è mai morto, non può farlo perché ci sarà sempre qualcuno, da qualche parte nel mondo, che lo vedrà sotto casa, dal droghiere, dal fornaio, in piscina, mentre falcia il prato o mentre guida una fiammante Cadillac del 1956 col vento sulla faccia.

Perché poi doveva morire? Spendeva all’incirca un milione di dollari l’anno per i farmaci che il “Dr. Nik” (George Nichopolous, il suo medico personale) gli ordinava senza ritegno. Solo nel 1977 gli aveva prescritto circa diecimila dosi di farmaci; quel che non ammazza, ingrassa. Appunto.
Elvis per non farsi mancare nulla, era pure bulimico e ingurgitava panini col burro di arachidi e banane fritte, o burro di arachidi, bacon e marmellata di fragole per un totale di circa diecimila calorie giornaliere. Ovviamente era un grande sostenitore della dieta del dottor Mc Donald.
Perché doveva morire? Soffriva di una presunta stitichezza cronica. Come dargli torto, avete mai provato a banchettare giorno, dopo giorno, dopo giorno con il menù del sopraccitato medico nutrizionista? Qualcuno dice che sia morto per l’eccessivo sforzo sul trono. Non dimentichiamo che c’è anche chi pensa che sia salito sulla nave madre dei visitatori di Roswell.
Secondo altri è in una casa di riposo del Texas, dopo essersi scambiato col suo sosia Sebastian Haff e deve vedersela con un’antica mummia egizia.
Altre fonti (in)attendibili lo indicano come il sindaco della ridente cittadina di Rock’n’roll Paradise.
Non dimentichiamoci l’intramontabile notizia che lo vuole nella famosa ed esclusiva “Isola dei Famosi”, con Marylin e James.
L’hanno invece visto senz’ombra di dubbio un miliardo e mezzo di persone durante l’Haloha from Hawaii e se fossi stato al mondo lo avrei guardato pure io.
Lo avrei fatto perché Elvis è stato il mio primo grande amore musicale. E il primo amore non si scorda mai. Il Re mi ha accompagnato per tutte le scuole elementari e dopo non l’ho lasciato andar via; perché la sua voce calda, rassicurante e melodiosa mi cullava, facendomi sentire sempre amato, ecco cosa sapeva fare con la voce: ti diceva che era tutto ok.
Quando canta Blue suede shoes so che ce la posso fare. Da ragazzino avevo anch’io un paio di scarpe di velluto blu, perché così cantava Elvis.

Non chiedetemi il motivo, ma la mia Elvis’s song di sempre è Hound dog. Quando l’ascolto giro il mio video clip personale, e dentro ci sono Cadillac rosa e bianche parcheggiate in fondo al viale dell’amore, drive-in affollati, ciuffi impomatati e tanta gente che ride di cuore.
Tutto è sempre bello, la vita è meravigliosa e l’amore eterno. Ha il potere magnetico di un sogno, un desiderio di vita senza paragoni.

Elvis ha su di me questo potere: mi rilassa molto più della cannabis.
I detrattori vi diranno che era solo un interprete, non come Jhonny Cash. Cantava e basta, non aveva doti di vero musicista; ma sapete? La penso come Sir Lennon: prima di lui il rock non esisteva.
Fece la sua prima incisione per la Sun Records nel luglio del 1954; That’s all right mama, e Blu moon of Kentucky: dopo, nulla fu più lo stesso.
That’s all right mama. Parliamo di lei. La voce di Elvis in questa canzone è giovane, ingenua, anarchica e sensuale; Elvis era soprattutto questo: una caldissima macchina del sesso.
Nella versione umplugged del 1968 la da nuova vita, una vita spericolata, voce e chitarra per mettere tutti in riga e ricordare che lui è ancora il Re.
Elvis non ha mai scritto nulla sul pentagramma, ma ha scritto sulla pelle delle persone. Ha scritto nelle pieghe del desiderio di milioni di giovani che volevano vivere come nessuno prima.
In fondo il 90% dei musicisti rock, cosa dice? Ho iniziato a suonare per fare sesso.
Elvis lo aveva capito prima degli altri, anzi; Sam Phillips della Sun Records lo aveva annusato prima di tutti.
Il rock’n’roll è prima di tutto sesso, poi è altro.
Elvis è stato il più sexy degli altri, prima degli altri.
Ancora oggi guardandolo si percepisce l’odore del sesso cantato da Ligabue, o l’odore del selvaggio e vitale sentimento di rivalsa sui vecchi che ha contraddistinto tutti gli anni a venire dopo la sua apparizione all’ Ed Sullivan Show.

Il sogno americano s’incarna (e che carne!) nel corpo ipnotico e senza freni inibitori del giovane camionista di Tupelo, Elvis ha cantato. Il mito è sorto. Il resto è leggenda.
Nel corso della sua carriera ha tenuto circa 1821 concerti; nessuno al di fuori dell’America.
Il Colonnello Parker, Alias Andreas Cornelis Van Kuijk, il potente manager olandese di Elvis, non lo porterà mai di là dall’oceano a causa dei suoi “problemi” personali. Immigrato irregolare, se fosse uscito dal paese non avrebbe più potuto rientrarvi; ex imbonitore del Luna Park (e cos’altro?) aveva imparato il mestiere del manager così bene che Elvis si dirà per sempre grato del suo lavoro.
Starà con lui dal 1955 sino al giorno della dipartita.
Gli procurerà il contratto con la RCA e nel 1956 inciderà Heartbreak hotel, l’hotel dei cuori solitari che lo proietterà in orbita, più in alto dello Sputnik.
Se ascoltate bene la sua voce in questa canzone, potrete sentire tutta la solitudine di un numero uno; il bisogno, tutto fisico, di ricevere amore. Elvis si è perso nelle stanze di quell’hotel solitario, la sua voce lo canta piano e noi non possiamo far altro che cercare di salvarlo.
Nonostante fosse lassù in cima, il Colonnello lo trasformò in uno di quei fenomeni da baraccone che ben conosceva; attore mediocre e interprete di filmetti terribili.
Il tendone del “Circo Parker- Presley” stava diventando più alto e luccicante del Bailey and Barnum e notevolmente più rumoroso. Elvis voleva essere un attore serio e un cantante brillante, ma divenne schiavo del suo stesso successo e del suo “aguzzino”.

Il 1973 fu certamente il suo canto del cigno.
Continuò incessante a sfornare concerti a ripetizione, ma a un certo punto era evidente che non ce la faceva più. La moglie Priscilla lo aveva lasciato, era ingrassato notevolmente e come se non bastasse, lui stesso diceva di annoiarsi ai suoi concerti.
Le pillole stavano diventando le sue migliori amiche. Una gita all’inferno, ma senza ritorno.
Era diventato una (pessima) brutta copia di se stesso. Era bulimico. Tossico. Paranoico.
Tutto questo però non toglie che nel mio cuore, e in quello di milioni di persone, lui resta sempre il Sovrano Assoluto del rock’n’roll.

Non è il migliore, è solo il primo. Dipende da quel suo essere così “Elvis”.
Possiede un’aura indistruttibile che lo rende unico nel suo genere. Ancora oggi si  percepisce una specie di selvaggia eccitazione nella sua voce, una sensazione di dionisiaco distacco nei confronti della morte; ecco cosa è riuscito a fare: ha ucciso la morte.
Può sembrare incredibile e poco probabile, poiché stiamo parlando di un semplice cantante rock; ma posso assicurarvi che se è vero che certi vedono le statue della Vergine piangere sangue, io percepisco tutto questo solo ascoltando le pieghe e i risvolti di quei vecchi dischi sorpassati.
Jhonny Cash ha compiuto un miracolo simile, ma attraverso altre strade. Elvis ha saputo trasformare il suo corpo in voce, in voce totale; il padre adottivo di tutti quelli dopo di lui.

Amava davvero il suo lavoro e non solo perché lo rendeva schifosamente ricco.
Certamente le pillole, il Colonnello e la Memphis Mafia hanno avuto una certa rilevanza, ma nessuno può negare che il successo (o la sua perdita) abbia avuto su di lui un’influenza totalizzante.
Dopo il 1973 avrebbe potuto vivere bene grazie alle royalties, probabilmente però la sudditanza psicologica nei confronti di tutto il “carrozzone” ha influito con forza sulla sua caduta lenta e inesorabile; le pillole, le calorie, le fobie e le paranoie sono parti in causa, ma forse bisogna fare i conti anche con il Dio malevolo di Hollywood, che riesce a colpire nonostante i diversi stati di distanza tra Hollywood e Memphis.
Quel Dio che se da una parte ti mette in cima al mondo, dall’altra chiede il suo tributo a volte mortale.
La fama è la quarta Parca, che racchiude il potere delle altre tre, non tutti sanno tenerle testa.
Molti considerano Elvis un innocuo ninnolo per famigliole in gita a Las Vegas; in realtà Elvis è una creatura selvaggia e senza freni inibitori.
L’essenza del rock è riassunta in sesso droga rock’n’roll ma a volte si fanno i conti senza l’oste, in questo caso senza il Re, che ha saputo incarnare un mito ormai immortale a prescindere proprio da questo; vive in una zona di sicurezza per famiglie, ma allo stesso tempo incarna in modo assoluto l’anima carnevalesca del carrozzone, che lui ha contribuito a mettere in piedi con ancheggiamenti, sguardi ammiccanti e tanta brillantina.
Bisognerebbe uscire da tutti i punti di vista e utilizzare una certa obiettività; in questo modo potremmo renderci conto che certamente la sua leggenda è ampiamente sovradimensionata, ma al tempo stesso non abbastanza compresa: Elvis è un grande musicista, un immenso interprete, ma soprattutto un eccelso comunicatore.

Elvis è questo: dopo di lui le cose non sarebbero state uguali, lo vediamo ancora oggi.
Puoi guardarlo con gli occhi del genitore preoccupato, del nipote irriverente, della ragazza adorante; guarda la sua stella da qualsiasi parte e lei ti restituirà brillantezza.
Quando da bambino pensavo a lui, mi piaceva pensare che l’ultima canzone da lui cantata fosse Love me tender. Mi piaceva illudermi che avesse dedicato a Priscilla quell’ultima canzone, perché trovo sia una delle sue migliori; se l’ascolti bene puoi sentire che sta parlando proprio con te, sta tentando in ogni modo di farsi amare disperatamente con le corde vocali.

Ha incarnato prima di tutti gli altri il culto della personalità. E’ morto nell’anno di grazia 1977, grasso, solo (solo come solo i grandi riescono a essere), non troppo vecchio ma non più giovane.
E’ morto all’ombra di se stesso, seduto sul suo trono, sovrano di un regno in disfacimento che stava per essere inghiottito dalla “discarica anarchica del punk” (senza la quale io personalmente sarei morto di noia, Dio salvi il Punk!) e ormai disprezzato dai più.
Il 16 agosto 1977 l’intera America comunque si fermò; un giorno di lutto nazionale decretato dal governatore del Tennessee, un ferito grave e due morti tra la folla della veglia falciati da un folle in auto, impossibilità di trovare fiori in tutto lo stato. Venditori di hot dog, hotel pieni, voli charter esauriti. Adesivi da auto con su scritto: “Elvis vive. Lunga vita al Re”, corone di fiori e zolle erbose divelte dal cimitero, tagliandi dell’ultimo concerto che nessun fan ha mai restituito. La RCA, per evadere gli ordini di dischi, rimase aperta 24 ore su 24; il tendone del circo innalzato dal colonnello Parker aveva riaperto le porte.

La canzone che più di ogni altra mi fa pensare a lui, non è sua e il ritornello dice più o meno così: ho messo via un bel po’ di cose, ma non mi spiego mai perché, io non riesca a metter via te.
Magari non ha mai scritto una canzone, ma ha ispirato altri, e non è poco.
Moriva l’uomo, nasceva il Mito.

Non ha inventato nulla, forse, ma ci ha donato se stesso, in tutto il suo essere.
Non si è risparmiato in nessun modo, nel bene e nel male. Ecco cosa ha fatto il Re, e se vi sembra poco, beh, allora siete davvero incontentabili!

Certe cose parlano da sole….

Categorie: Cantanti, Grammofono, Personaggi

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